Settembre 2018: da qui dovremmo partire, mese che segna l’uscita del bando per il SCN. Lo leggo con attenzione, ci faccio un pensiero ed anche un po’ di voglia, d’altronde potrebbe essere interessante sperimentare una realtà nuova in questo anno universitario decisamente sterile. Inizio a leggere il catalogo dei progetti: sono tanti, alcuni molto diversi, altri affini tra loro ma contenenti comunque quel senso di unicità che li contraddistingue.

Mi colpisce fin da subito l’ambito della Cultura, che amo da quando sono bambina e penso che sarebbe proprio quello che ci vuole inserirmi in un ambiente per me tanto piacevole e potenzialmente in grado di destarmi da un tedio che ultimamente ha finito per amalgamare, purtroppo, perfino i miei stessi interessi.

Decido allora di presentare la domanda; i posti disponibili sono solo due e penso erroneamente tra me: “figurati se la Cultura interessa più a qualcuno”.

Non l’avessi mai pensato! A fare domanda siamo stati più di venti. Serve quindi fare una selezione e naturalmente non vengo presa, il come o il perché non è rilevante saperlo.

Dopo circa due settimane sono ricontattata dal Comune (ente promotore del progetto da me scelto) e mi viene comunicata la presenza di posti vacanti in un progetto riguardante l’integrazione e l’affiancamento di minori disabili o in situazione di difficoltà all’interno della scuola.

Scuola, che parola bizzarra, penso in riferimento alla sua etimologia: deriva infatti dalla parola greca skholé,che inizialmente indicava l’ozio inteso come occupazione del tempo libero senza che fosse inteso come passatempo, riservato dunque ad una élite che poteva permettersi di non lavorare. Oggigiorno per fortuna la situazione è diversa, perché quelle mattine passate seduti al banco che sembrano quasi infinite sono la cifra di quella cultura che è libertà e deve quindi essere accessibile a tutti. Penso che forse la radice profonda di questa parola millenaria abbia veramente a che fare con il tempo libero. E libero non inteso come vuoto, ma come slancio verso una coscienza, perché spalanca le porte verso una vita autentica, priva di catene e servaggi.

Mi ha sempre affascinato l’ambiente scolastico ma allo stesso tempo mi fa molta paura al pensiero di come sia complicato l’iter formativo per l’accesso all’ insegnamento, che dovrebbe poi portarmi in una realtà che si allontana sempre di più da ciò che la scuola dovrebbe effettivamente essere.

Bruciare l’opportunità del Servizio Civile per un ambiente come la scuola non ha senso, penso tra me, eppure sento al contempo che sia questo il momento giusto, sento di essere pronta e il perché non me lo so spiegare e il fatto stesso che la casualità degli eventi mi riporti ad avere a che fare con questa realtà forse è un segno.

Mi risuonano allora in mente le parole con cui Enrico V, nell’omonima opera shaeksperiana, incita i suoi soldati prima della battaglia in cui le condizioni sono avverse e i nemici più numerosi. Il re vince la paura dei suoi soldati, ribadendo di non volere un solo uomo in più, perché la vittoria risiede in un’altra parte: “Quando l’anima è pronta, lo sono anche le cose”. Non ho più dubbi. Accetto il colloquio e il successivo inserimento nel progetto.

Quel motto è diventato il mio stendardo. Ogni giorno faccio il mio pezzo con i bambini che mi vengono affidati, li chiamo spesso per nome e mi piace incrociare il loro sguardo mentre lo faccio, perché attraverso questo intuisco amorevolmente la storia che si compirà pur non conoscendola.

Credo molto in questa esperienza e credo molto nel Servizio Civile, se fatto bene e con buona volontà, non solo con il fine pratico di aggiungerlo al Curriculum Vitae così da riempire quello spazio volto ad elencare tutte quelle “prestazioni” attraverso le quali ci illudiamo ogni giorno di poter essere qualcuno. Il Servizio Civile ci permette un assaggio diverso di ciò che è la relazione con il mondo, ed è solo attraverso la relazione con il mondo che finalmente capiamo cosa siamo venuti a portare.

Ringrazio il Copresc e il Comune di Forlì, per aver reso possibile questo progetto augurandogli di riconfermarlo per molti anni a venire. Ringrazio i volontari della mia “classe di formazione” protagonisti di un confronto regolare e stimolante che ha ampliato il mio sguardo delle cose permettendomi di scrutare aspetti e dettagli rilevanti che da sola non avrei potuto vedere. Ringrazio la mia Olp, maestra illuminante e ammirevole, che nel pieno dei suoi ruoli e mansioni si è presa cura di ogni mio appello rivoltole. Ringrazio me stessa, per questo slancio verso il mondo che ho deciso di intraprendere e per una la scoperta di una vocazione rivelata. E infine ringrazio anticipatamente coloro che verranno dopo, perché il futuro è anche loro, sperando che trovino le risposte a qualunque cosa cerchino da questa esperienza.

Martina A.